13 settembre 2018


CHI VUOL ESSER LIETO SIA...

Vi avevamo detto in sede di anteprima sulla pagina omonima di Facebook che avremmo parlato di "finestre" perchè le nostre intenzioni erano di capire, a proposito delle nostre relazioni sociali, quante cose di noi riveliamo, quante altre nascondiamo, e altre ancora non sappiamo ma che coloro che ci conoscono invece vedono di noi. Questa specie di giochino non è un abracadabra o una magia ma uno strumento che permette in maniera abbastanza agevole di conoscere meglio se stessi e gli altri. 
Invece desideriamo parlarvi di Felicità. In queste ultime settimane è girato uno spot televisivo (quello sopra) che provava a misurare la percentuale di felicità contenuta nell'espressione di un viso, partendo da una percentuale di 0 fino a 100: l'idea di questa pubblicità progresso è che donare rende felici e che un dono può essere un balsamo dell'anima. Un signore di nome Adorno sosteneva che il nostro tempo ha smarrito l'arte del dono, tanto che - dico io - oggi è invalsa la cattiva abitudine di regalare soldi a parenti o amici in occasione di feste o matrimoni. Proprio per questo, donare è oltre che il frutto di una magnanimità d'animo anche un'idea del vivere, un paradigma sociale, un modo di situarsi nella complessità delle vicende umane. Ma se non vogliamo dar retta a Dostoevskij che sosteneva che "nulla è più difficile da sopportare di una serie di giorni felici", possiamo invece fidarci di un professore di Harvard di nome Waldinger che ha osservato dal 1938 per 75 anni la bellezza di 724 ragazzini provando a rispondere a questa domanda: Che cosa vi ha reso felici? La ricerca dell'ateneo di Boston non ha dubbi: la qualità delle relazioni sociali, non il successo o l'essersi procacciati fama e ricchezza. Quelle contrassegnate da un tasso di negatività e di ostilità atrofizzano il cuore, arruginiscono il cervello e rovinano la salute, invece le buone e sane relazioni accendono il cuore, vivacizzano il cervello e  ci aiutano a mantenerci in salute.
Del resto i Greci la chiamavano eudaimonia, vale a dire "coltivare il proprio demone (daimon)" ma questo richiede tempo, dedizione, scordarsi un po' il cellulare e guardarsi di più negli occhi con chi ci sta a cuore e desideriamo rimanere nel suo. Oggi il frastuono o i clamori che somigliano a mortiferi "canti delle sirene" ci distraggono dal considerare ciò che più conta di noi stessi. Abbiamo un po' tutti bevuto l'acqua della Dimenticanza e per questo vulnus della memoria non esistono farmaci.