11 febbraio 2018

CHE ETA' HANNO GLI ADULTI DI OGGI?

Vi ricordate il film francese di qualche anno fa (Tanguy 2001) - che tra l'altro traeva spunto da una reale vicenda giudiziaria - con protagonista  un giovane ventenne, intellettualmente dotato, con innumerevoli e accreditati titoli tra cui master in filosofia e in giapponese, che fa causa civile ai propri genitori perché lo hanno "cacciato" da casa dopo aver scoperto che pur guadagnando una somma considerevole non intende andarsene. Ebbene, cari amici, possiamo dire che l'era Tanguy dovrebbe essere finalmente tramontata, almeno qui da noi. In Italia, hanno deciso i giudici, si diventa adulti a 33 anni (curioso il parallelo con l'età di Cristo ma che a quell'età aveva già manifestato in modo chiaro e assertivo la propria visione del mondo...) e che la famiglia di origine non ha alcun obbligo di mantenerlo. La recente sentenza riguarda un giovane (si fa per dire) di sessant'anni che pretendeva che la mamma,  più che ottantenne, provvedesse ancora a lui come un figlio "incapace di intendere e di volere" (come recita la legge per quelli prima dei fatidici 18 anni). Altro che fasi cruciali della vita, altro che crescita: la maturità, la condizione dell'essere adulti è, ancor più oggi che mezzo secolo fa, un capitolo di antropologia o di psicologia tutto da scrivere, con buona pace di coloro che dalle pagine dei loro manuali ci ammoniscono sulle tappe del "ciclo di vita".
M c'è un altro aspetto che a nostro avviso è diventato inquietante. Che differenza oggi c'è tra un bambino di quattro anni e il suo genitore di circa quaranta? Una volta avere una certa età significava l'accesso a compiti,  forme e processi attraverso i quali le persone, tra continuità e cambiamento, si costituivano come individui responsabili e consapevoli. Oggi sembra che invece tutto ciò non abbia più alcun senso. Il caso citato sopra ne è solo un esempio eclatante e persino paradossale. Ma se ne possono aggiungere altri che in modo diverso ma non meno esplicito lasciano intravedere una condizione dell'adulto e dell'essere genitori non molto dissimile da quei "bamboccioni" che qualche anno fa il compianto Padoa Schioppa additava alla pubblica opinione. Su La Repubblica di ieri, Elena Stancanelli assume il racconto di Conrad La linea d'ombra come esempio di un percorso di formazione che dalla gioventù fatalmente approda alla definitiva maturazione. E si chiede qual è il "confine che ci rende bamboccioni". Appunto,  i confini, ossia quei "paletti" che separano ma soprattutto definiscono i contesti e le persone che ne fanno parte. 
Qualche anno fa Neil Postman scriveva La scomparsa dell'infanzia, oggi probabilmente è la dimensione adulta a manifestare maggiori sofferenze e difficoltà. "Amiamo come bambini" - dice la Stancanelli - "pretendendo l'affetto incondizionato delle madri, incapace di elaborare separazioni, tradimenti". La Linea d'ombra è diventata oggi soltanto una sorta di nebulosa in cui il tempo e l'età che lo contrassegnano diventano il baratro in cui precipitano le nostre responsabilità e la nostra capacità di decidere.